Alla vigilia della nuova sfida con il Real Betis, stavolta a Siviglia, mister Mourinho ha risposto così alle domande dei giornalisti in conferenza stampa.
Può essere che la preparazione studiata in questa stagione, anomala, straordinaria, perché si gioca quattro mesi e poi ci si ferma, possa portare a correre più rischi in termini di infortuni? E poi, per domani, è più in vantaggio Belotti o El Shaarawy?
“Questa domanda è buona. È una domanda per la quale tutti noi possiamo avere delle sensazioni. Se ne parlava da tanto: già quattro, cinque anni fa si parlava di questo Mondiale. Però, la verità è che è questo è il momento in cui conviviamo con questo tipo di situazione. Ho imparato a piangere meno di prima e a vivere con la realtà delle cose.
Potrei dire che si gioca troppo, potrei dire che i calciatori di oggi paragonati a quelli di ieri hanno una carriera completamente diversa, potrei dire che i club più ricchi sono privilegiati perché possono avere una rosa che permette di fare un impiego diverso dei giocatori rispetto ai club meno ricchi, che hanno maggiori difficoltà.
Ma la verità è che ci sono i ricchi, i poveri e i meno ricchi. I poveri giocano una partita a settimana e si preparano per una partita a settimana. I ricchi, con le rose che hanno, possono giocare anche ogni giorno e cambiano dieci calciatori.
I meno ricchi, che hanno ambizioni equilibrate e devono giocare lo stesso numero di match dei ricchi, sono quelli che si trovano in difficoltà. Ed è questa l’esperienza che sto vivendo in questo momento.
Quanto a Belotti ed El Shaarawy: no Belotti e no El Shaarawy. È tutto aperto”.
Sembra che Abraham nelle ultime partite stia faticando: ha un problema fisico o mentale? Cosa ha Tammy?
“È un problema nostro, è un problema di squadra. Non mi piace fare questo tipo di analisi. Capisco che voi possiate farla. È possibile che tu troverai altri giocatori di alto livello in altre squadre che vivono dei momenti simili, in Italia e all’estero.
Per voi è tutto un numero, sono tutte statistiche. Per noi, la verità è che ci servono i gol per vincere le partite. Se si vincessero grazie alle occasioni da gol, saremmo primi in Serie A, perché creiamo tanto e sbagliamo tanto. Sono dei momenti. E qualche squadra pagherà per questa frustrazione, perché un giorno faremo quattro gol con quattro palle gol.
L’importante è che noi la guardiamo come squadra e non mettiamo pressione come voi, perché facciamo lavori diversi. Per noi non è il calciatore A, B o C che deve segnare o che ha segnato, che ha segnato poco o che non segna: ragioniamo come squadra e come squadra, per quello che produciamo, segniamo poco. È in questa direzione che andiamo. Come squadra, dobbiamo segnare di più, con maggiore efficacia. Arriverà quel momento”.
A cosa si riferiva dicendo, dopo Roma-Lecce, che i giocatori non recepiscono le sue indicazioni? Ha visto dei miglioramenti?
“Intanto, per un allenatore non è facile parlare dieci minuti dopo la fine della partita. Qualche volta si dicono delle cose che dopo bisogna spiegare. Si vince sempre con un piano di gioco. E una cosa è il piano di gioco e un’altra è la capacità dei calciatori di metterlo in pratica. Dalla panchina ho avuto delle sensazioni e quando l’ho rivista in video la prospettiva è un po’ cambiata.
Continui a dire che dobbiamo avere più disciplina nel nostro gioco: quando due o tre calciatori perdono questa disciplina, sia in fase difensiva sia in fase offensiva, questo ha delle conseguenze per tutta la squadra. E a questo livello dobbiamo migliorare, perché le grandi partite che abbiamo fatto in questo anno e mezzo che stiamo insieme sono state partite di grande concentrazione, di grande rispetto del piano di gioco e di grande organizzazione nella dinamica della squadra.
Sono pochissime le partite che abbiamo vinto con delle soluzioni individuali o con gente che è uscita dalla linea di gioco che avevamo preparato prima”.
(Foto LaPresse)